Gigi Sabelli – WorldMusic – novembre 2005
Ithaca/Ithaki è nato dopo una pausa di quasi quindici anni.
Nel 1990 mi sembrava di aver fatto, musicalmente, tutto quello che potevo fare, e non desideravo cominciare a ripetermi, magari apportando soltanto qualche modifica formale.
Poi, avrei desiderato scrivere per una formazione più o meno sinfonica, completa di archi, tentando anche qui di dire qualcosa di non già troppo detto: ma probabilmente il mio modo di pensare e di scrivere era incompatibile con un contesto simile.
Quindi: sindrome del foglio bianco.
Tuttavia, la necessità di comunicare attraverso la musica è qualcosa che puoi comprimere solo fino a un certo punto: alla fine trova una via di sbocco.
Così, nel 2002 ho ricominciato a comporre, cercando di convogliare una serie di pensieri e di emozioni attraverso gli impasti sonori di una formazione orchestrale abbastanza simile a quelle che avevo utilizzato in precedenza.
Mentre scrivevo, mi sono accorto di avere accentuato una mia tendenza a non cercare l’effetto facile, immediato, ad uscire da schemi ritmici e melodici dati per scontati, e a tentare di creare strutture capaci di trasmettere, oltre ai suoni, delle idee o dei percorsi mentali.
Mi rendo conto che ne è nato un disco apparentemente complesso, malgrado io abbia in generale scelto una scrittura molto lineare, però mi sembra che riesca a comunicare a chi lo ascolta una buona parte delle emozioni da cui trae origine.
I numerosi musicisti che ne sono i protagonisti sono stati essenziali per raggiungere questo risultato, e hanno suonato tutti con estrema generosità, adottandone in pieno il pensiero musicale.
Ithaca/Ithaki è un album che si svolge secondo un preciso percorso di pensiero (ancora la parola percorso…): il viaggio, il porsi di fronte ad emozioni e pensieri, a volte trascendenti, a volte semplici momenti della memoria.
Dovunque ho ritrovato il piacere di offrire ai solisti delle melodie, dei giri armonici, delle strutture e delle atmosfere un po’ diverse da quelle nelle quali agiscono normalmente.
Tutto si coagula poi sotto il segno di Itaca.
Itaca è il luogo mentale che stimola al viaggio, all’invenzione, al pensiero, all’attività, alla narrazione.
Itaca non ci sarebbe se non ci fosse Odisseo, e viceversa.
È il mito riassuntivo dell’alternarsi di sbandamenti e di dura determinazione, il simbolo della fragilità e solidità umane.
Infine, c’è anche la straordinaria poesia di Kavafis…
La scelta dei musicisti (mi verrebbe da dire “compagni di viaggio”) è stata molto mirata; sia nel caso di vecchi amici sia nel caso di new entries.
È stato importante il loro desiderio di partecipare a questa avventura, ma lo sono stati anche, naturalmente, il loro sound, le loro capacità interpretative e creative.
Dal mio punto di vista, è fondamentale trovare una forte empatia, sia musicale sia umana: cosa che, in questo caso, si è verificata pienamente.
E questo non è un approccio da riservare soltanto ai piccoli gruppi, ma si rivela altrettanto essenziale per la grande orchestra, che è un organismo complesso e delicatissimo.
Sono convinto che la grande orchestra jazz possa offrire ancora molte sorprese, soprattutto se si riesce ad andare oltre agli schemi timbrici e strutturali già battuti; se si combinano parti scritte e improvvisazione in modo da stimolare la sinergia fra gli interpreti.
D’altra parte, io credo anche che il jazz sia innanzitutto libertà, e che possa assorbire felicemente una molteplicità di stimoli e di sensibilità differenti provenienti da diversi tempi e spazi.
Il jazz è stato, fino dai suoi inizi, una musica che potremmo definire “sincretica”, dove niente viene rifiutato, ma tutte le differenti radici culturali trovano la loro piena dignità di espressione.
Il silenzio di questi anni mi è servito per mettere meglio a fuoco i miei rapporti con la composizione e con la successiva esecuzione della mia musica.
Gli album precedenti sono stati delle raccolte di composizioni, ognuna delle quali era un discorso compiuto in se stessa, mentre quest’ultimo lo intendo come un tutto unico, un insieme con diverse sfaccettature.
È stato difficile riprendere a comporre, ma forse questo rappresenta davvero un ponte che, spero, mi può portare a non stare in silenzio per un tempo altrettanto lungo.
Qualche programma per il futuro? Prima di tutto, terminare di scrivere la musica per un nuovo album, da incidere entro l’anno prossimo; poi, sarebbe fantastico tornare a fare dei concerti dal vivo, per comunicare direttamente e interagire con il pubblico: una cosa che mi manca moltissimo.